YOGA Ravenna
Paola Salerno

Uno dei primi libri di yoga che ho letto, di B.K.S. Iyengar parla in modo filosofico dello yoga, ricco di metafore e frasi facili da capire e collocare nel proprio scenario interno. Questo sunto è uno dei più significativi, rende un'immagine che si stampa indelebile nella mente di uno yogi.

"Per coltivare una pianta si deve prima vangare la terra, rimuovere i sassi e le erbacce e ammorbidire il terreno. Si pianta poi il seme e lo si copre accuratamente con terra soffice in modo che quando si schiuderà non venga danneggiato dal peso; quindi, si innaffia, dopodiché si attende che germogli e cresca. Dopo uno o due giorni, dal seme spunta uno stelo che poi si dividerà in due e produrrà foghe. La pianta continua così a crescere fino ad avere un tronco che a sua volta genererà rami con molte foghe che si orienteranno in varie direzioni.
Allo stesso modo si deve accudire l'albero dell'anima. I saggi del passato, che avevano goduto della possibilità di vedere l'anima, ne trovarono il seme nello yoga. Questo seme ha otto segmenti che durante la crescita dell'albero generano gli otto rami dello yoga.
La radice dell'albero si chiama yama, che comprende i cinque principi di ahimsa (non-violenza), satya (sincerità), asteya (liberazione dall'avidità), brahmacharya (controllo della brama sessuale) e aparigraha (liberazíone dal desiderio di possedere al di là delle proprie necessità). L'osservanza di yama disciplina i cinque organi dell'azíone che sono le braccia, le gambe, la bocca, gli organi procreativi, e gli organi escretori. Ovviamente, gli organi dell'azione controllano gli organi percettivi e la mente; se si vuole fare del male ma gli organi dell'azione si rifiutano di farlo, il male non verrà fatto. Per questo gli yogí iniziano con il controllo degli organi dell'azíone; yama è quindi la radice dell'albero dello yoga.
Poi viene il tronco, che si paragona ai principi del níyama, che sono saucha (pulizia), santosa (appagamento), tapas (ardore), svádhyàya (studio di se stessi) e lsvara-pranidhana (abbandono). Questi cinque princípí di níyama controllano gli organi della percezione: gli occhi, le orecchie, il naso, le labbra e la pelle.
Dal tronco dell'albero si dipartono diversi rami. Uno cresce molto lungo, uno di lato, uno va a zigzag, un altro cresce dritto, e così via. Questi rami sono gli asana, ovvero le varie posture che fanno sì che le funzioni fisiche e psicologiche del corpo siano in armonia con il modello psicologico della disciplina yoga.
Dai rami crescono le foglie la cui interazione con l'aria fornisce energia a tutto l'albero. Le foglie, che convogliano dentro l'aria esterna e la portano a contatto con le parti più interne dell'albero, corrispondono al pranayama la scienza del respiro, che unisce il macrocosmo al microcosmo e viceversa. Avrete notato come i nostri polmoni visti al contrario diano l'immagine di un albero. Attraverso il pranayama il sistema respiratorio e quello circolatorio raggiungono uno stato di armonia.
La padronanza degli asana e del pranayama aiuta il praticante a distaccare la mente dal corpo, e ciò porta automaticamente verso la concentrazione e la meditazione. L'albero, se non avesse la corteccia, sarebbe divorato dai vermi; il suo rivestimento protegge la linfa che fluisce all'interno tra le foglie e la radice. La corteccia quindi corrisponde al pratyahara, che consiste nello spostamento verso l'interno dei sensi della pelle al profondo dell'essere.
Dharana è come la fida dell'albero, il succo che porta l'energia in questo viaggio spirituale. Dharana è concentrazione, che focalizza l'attenzione al centro dell'essere umano. E fluido dell'albero o linfa unisce l'estremità della foglia all'estremità della radice. E dal raggiungimento di questa unione dell'essere dall'esterno all'interno, dove colui che osserva e colui che è osservato sono un tutt'uno, si ottiene con la meditazione. Quando l'albero è sano e c'è molta energia, allora sbocciano i fiori. Quindi dhyana, la meditazione, è il fiore dell'albero dello yoga.
Alla fine, quando il fiore si trasforma in frutto, questo si chiama samadhi. Come l'essenza dell'albero si trova nel frutto, così l'essenza della pratica dello yoga è riposta nella libertà, l'equilibrio, l'armonia e la beatitudine del samadhi dove il corpo, la mente e l'anima sono un tutt'uno armonico e si fondono con lo Spirito Universale."

Condividi su Facebook o Twitter